lunedì 19 giugno 2017

Intervista a Paolo Francescutto e Luca Malisan


Il Gotem Studio è una realtà costituita nel 2008 da Dimitri Fogolin, Paolo Francescutto e Luca Malisan, già animatori dell’Associazione Culturale Fame Comics. In pochissimi anni sono passati dalle fanzine a collaborazioni eccellenti con le più varie realtà del mercato fumettistico mondiale.
In particolare, Francescutto e Malisan sono tra le altre cose collaboratori regolari della testata bonelliana Dragonero, che a The Game Fortress sarà presente con una larga compagine di autori.
I lavori dei due si possono ammirare rispettivamente sul blog www.paolo-gomets.blogspot.com e sul sito www.malisan.it.

Insieme a Dimitri Fogolin animate lo studio Gotem. Come si svolge il vostro lavoro e come vi dividete i compiti? Lo chiedo perché mi sembra che sia anche una sorta di service oltre che un “semplice” studio di fumettisti.

FRANCESCUTTO: Agli inizi era più una cosa collettiva.
Capitava spesso si lavorasse assieme ad un unico progetto, e questo ci ha messo nelle condizioni di dover trovare un metodo di lavoro che rendesse possibile passarci le tavole da colorare l'un l'altro.
Piano piano ognuno ha intrapreso una strada più personale.
Luca ha iniziato a lavorare come disegnatore con risultati evidenti, sia all'estero che in Italia, Dimitri è stato via via sempre più impegnato come colorista, sempre molto richiesto, specialmente in Francia.
A me è stato chiesto di diventare collaboratore esterno alla Bonelli per gestire i coloristi della serie Dragonero.
Tutti e tre però abbiamo avuto modo di sperimentare, per la fanzine della quale facevamo parte, tutta una trafila di situazioni legate alla pubblicazione di un albo, dalla progettazione, alla realizzazione alla stampa.
Questo è stato sicuramente molto utile per capire quale potrebbe essere un problema relativo al lavoro che ora svolgiamo.
In più Luca e Dimitri (quest'ultimo con passato da grafico per qualche anno) sono due informatici che conoscono bene il linguaggio digitale, diversamente da me che nasco mosaicista, e questa loro conoscenza ha sicuramente portato benefici al Gotem.
Per quanto riguarda il “service”, beh, suppongo sia dato anche dal nostro voler imparare sempre quando qualcosa non ci è familiare, ci piace informarci e imparare di continuo, cosa indispensabile, credo, in questo lavoro.
Ognuno si può dire specializzato in un qualche modo, ma adoriamo le sfide e mantenerci allenati anche in ambiti più disparati che riguardano il mondo dell'illustrazione in generale, dal fare un fumetto, ad un’illustrazione ad un logo per una ditta.

MALISAN: Ognuno di noi porta avanti in modo indipendente il proprio lavoro, come fosse del tutto autonomo. Tuttavia, essendo io un disegnatore, quando ho bisogno di un colorista la cosa più ovvia è rivolgermi ad uno dei miei due soci. In questo modo la collaborazione tra noi diventa semplicissima, e anche l’editore è ben contento di ricevere il “pacchetto completo” senza altre complicazioni. Oltre al lato creativo del lavoro, c’è poi quello organizzativo e burocratico, dove invece ci diamo da fare in base alle nostre aspirazioni e competenze (e disponibilità di tempo). In questo modo la gestione è più leggera ed efficiente, rispetto ad un professionista che deve fare tutto da solo.
Capita anche di collaborare a più mani su uno stesso fumetto, ma si tratta di situazioni piuttosto rare, perché in genere la “mano” del singolo si fa notare, e non è così semplice imitare lo stile del proprio collega.

Per la Francia Luca ha realizzato, tra le molte altre cose, anche una serie (scritta nientemeno che da Corbeyran) dedicata alla produzione e alla commercializzazione del vino (un po’ una saga familiare come ce ne sono diverse sul mercato franco-belga, tanto da aver creato un vero e proprio sottogenere: per rimanere in ambito alcolico, pensiamo a Les Maîtres de l’Orge e Chateaux Bordeaux).
Secondo voi il fumetto ha delle potenzialità anche come veicolo promozionale, fosse anche solo di una regione o di una cultura e non di un prodotto specifico?

FRANCESCUTTO: In Francia quella cosa è possibile perché la cultura riguardo al fumetto è differente.
Non è affatto strano che qualcuno comperi un fumetto, pur non essendo lettore di fumetti, solo perché quell'albo parla di un argomento ad egli interessante.
Né è strano vedere persone di età e cultura differenti interessate ad uno stesso fumetto.
In più i fumetti in Francia sono valutati culturalmente importanti quanto i libri.
In Italia le cose stanno cambiando, sta di fatto che, negli ultimi anni, dei fumettisti sono stati candidati al premio Strega.
Dubito che vedremo, nel giro di poco tempo, una vera e propria rivoluzione, anche se lo spero fortemente. Credo però che il pubblico vada invogliato, educato alla lettura in generale (anche la lettura di libri comuni è in calo). Quando questo accadrà sono certo che il fumetto sarà visto come un mezzo di comunicazione degno come qualunque altro. Il fumetto ha un’enorme potenzialità come veicolo promozionale, può essere portavoce di infiniti argomenti.
Credo bisogni spingerlo però affinché avvenga, aver più coraggio a proporlo anche a chi non ne è abituato.

MALISAN: Certamente: il fumetto può avere tutte le potenzialità che con esso si vorrà esplorare. Il modo in cui ciò viene messo in pratica deciderà poi se la cosa funziona o meno. Penso che una buona storia debba comunque essere il motore di qualsiasi iniziativa. Un fumetto che si pone come obiettivo un messaggio (non solo promozionale, ma anche sociale o etico... di qualsiasi tipo) non sarà una bella lettura se la comunicazione sovrasta la narrazione. Avendo una buona idea, l’ambientazione (luoghi e tematiche) può diventare un ottimo veicolo promozionale. Ed è il caso dei due (riuscitissimi) fumetti citati.

Ci rendiamo conto che questa domanda richiederebbe molto spazio per una risposta… comunque: voi come studio Gotem avete lavorato per i maggiori mercati fumettistici occidentali, ovvero gli Stati Uniti, la Francia e l’Italia. Quali sono le differenze più evidenti che avete riscontrato tra queste realtà?

FRANCESCUTTO: Le paghe! :D
Scherzi a parte, le paghe sono parte delle differenze, in Francia sono generalmente più alte.
Ma la parte più evidente credo siano i tempi di lavorazione.
Per gli USA sono sempre stati molto ristretti, è capitato di dover fare una cosa come dieci tavole in poco meno di due settimane.
Per la Francia invece (specie qualche anno fa) un albo di 46 tavole poteva essere sviluppato nell'arco di un anno.
Recentemente mi è capitato di doverne fare uno intero in un mese, e grazie ad una buona organizzazione sono riuscito nell'impresa, con soddisfazione da parte dell'editor, ma è comunque stata un’eccezione.
Per il mercato italiano, con la Bonelli nello specifico, posso dire di trovarmi bene su quel lato.
C'è una continua comunicazione con i miei referenti che mi permette una buona libertà di azione, ovviamente rispettando i tempi di consegna che sono sempre molto importanti.

MALISAN: Le differenze sono molte. Alcune sono immediatamente evidenti, perché riguardano proprio la “confezione” del fumetto: numero di pagine, colori o bianco e nero, dimensioni, periodicità… Differenze importanti sono anche nella narrazione: il fumetto francese preferisce ritmi di lettura più lenti; le sue 46 pagine vengono in genere lette nel doppio o triplo del tempo rispetto alle 96 pagine del fumetto tradizionale italiano. Questo ovviamente richiede un approccio diverso da parte degli autori. Tante sono anche le differenze a livello organizzativo, nei rapporti che collegano noi con la casa editrice e gli sceneggiatori. Tuttavia da questo punto di vista spesso si trovano grandi differenze anche tra differenti incarichi su uno stesso mercato. Alla fin fine ogni progetto è un mondo a sé.

Il vostro cammino nel mondo fumetto comincia da lontano, nel 1997, prima con la fanzine “faMe!”, e poi nel 2002 con la costituzione dell'Associazione Culturale Fame Comics. Diverse pubblicazioni interessanti vi lanciano nel mondo del fumetto che conta. Ci volete raccontare questa bella avventura, di amicizia ancor prima che professionale?

FRANCESCUTTO: Tutto iniziò con un volantino che parlava di questo corso di base del fumetto tenuto da Davide Toffolo. Quindici lezioni in tutto. Come dire di no?
Si era legati specialmente dalla passione per il disegno e per i fumetti, in più Davide aveva creato un’atmosfera divertente e coinvolgente, e se pur sono stato un pessimo allievo lo ringrazierò finché campo.
Ultima “prova” del corso era completare una storia intera, finendo con la realizzazione di un albetto vero e proprio. Dei partecipanti al corso alcuni continuarono a trovarsi per creare qualcosa da esso, io fui latitante per qualche tempo. Li rincontrai, quasi per caso, e scoprii che avevano già impostato le basi per quella che sarebbe poi diventata la fanzine prima e piccola casa editrice poi.
Con il gruppo che si era formato non era solamente il fumetto lo scopo, ma anche un mezzo per accrescere le nostre capacità e per coltivare un amicizia che si faceva via via più intensa.
Alcuni si specializzarono nello scrivere, altri nel disegnare, tutti quanti ci arrangiammo come venditori, perché per tirare avanti (era sempre un’associazione non a scopo di lucro) bisognava vendere quello che producevamo.
Infatti, visto che l'intera filiera della produzione era gestita da noi, per poter mandare in stampa gli albi dovevamo anche fare cassa, e ciò voleva dire andare alle varie fiere del fumetto in giro per l'Italia, preparare il banchetto e mettere in vendita i nostri prodotti.
Oggi non è più così, c'è internet, c'è Facebook, ora chiunque può pubblicare a costo zero i propri lavori, senza però maturare quell'esperienza umana e tecnica che ora reputo importante per la nostra formazione professionale.
Andare in fiera era poi un ottimo momento di confronto con altri autori locali e non, si coglieva ogni occasione per mostrare i nostri lavori ad altri autori già conosciuti, ogni bastonata morale che si prendeva equivaleva ad una piccola lezione importantissima per migliorarci.
Non abbiamo fatto scuole di fumetto, a parte l'utilissimo corso di Davide. Facciamo parte di quel gruppo di autodidatti, ognuno aveva un altro lavoro “vero e proprio”, e il fumetto restava per noi una grande passione. Via via la qualità migliorava, non si facevano più solo storielle raccolte in albi, ma veri e propri volumi che ci vedevano in collaborazione con altre realtà più importanti e serie (la Società Filologica Friulana era una di queste). Arrivò poi il pellegrinaggio ad Angoulême, per cercare lavoro vero e proprio. Nel frattempo infatti la voglia di osare era grande, io lasciai il mio lavoro e la sicurezza economica della fabbrica per dedicarmi solo a questo.
Assieme a Luca (che andò un anno prima di noi) e Dimitri si andava oltralpe per mostrare i nostri portfolio ad editori francofoni, cosa quasi impensabile ai tempi qui in Italia. Ricordo ancora adesso, ore ed ore di coda, per avere due minuti di difficile dialogo (io il francese non lo conoscevo, e anche adesso a parlarlo farei accapponare la pelle) con l'editore di turno.
Vedere poi un mondo differente ampliava la mia concezione del mondo cui facevo parte, il confronto era sempre più aperto, e mi sentivo sempre più una goccia nell'oceano. Nonostante questo, già essere lì mi pareva una vittoria. Iniziai ad avere qualche proposta di prova di colorazione, non andò tutto bene, ma fa parte del gioco.
Da li, il passo per il Gotem fu quasi istantaneo.
Eravamo in tre amici che volevano seriamente fare questo lavoro, investivamo il tempo e il denaro che avevamo su questa passione, e in tre ci si poteva aiutare anche finanziariamente. Si andò quindi dal commercialista che prima gestiva l'associazione Fame Comics, e gli si chiese cosa avremmo dovuto fare per fondare un gruppo di lavoro. Era fatta, nel 2008 firmammo le carte per il Gotem. Non era più un sogno, era realtà.
Credo che il nostro essere complementari sia stato sempre un punto di forza, gusti differenti, idee differenti, culture differenti, non poteva che o andare tutto in malora nell'arco di pochi mesi o andare alla grande.
Sono anni che lavoriamo assieme, che viviamo praticamente assieme, siamo un po' come una famiglia, infatti i contrasti non sono mai mancati, ma il rispetto reciproco e la stima professionale che nutriamo l'un l'altro sono sempre stati presenti.

MALISAN: Ci siamo incontrati come partecipanti ad un breve corso di fumetto tenuto da Davide Toffolo. Compito di fine corso era la realizzazione di una fanzine e, non avendola finita in tempo, abbiamo proseguito gli incontri tra noi dopo la fine delle lezioni, per completarla. La cosa ci è piaciuta, a quel numero 0 sono seguiti altri, i nostri incontri si sono fatti regolari e così è nata l’Associazione Culturale Fame Comics e la sua attività di piccola casa editrice. Quando ho voluto tentare l’approccio professionale al fumetto ho ovviamente cercato i miei collaboratori tra quegli amici che conoscevo da molti anni. Dimitri e Paolo hanno condiviso l’idea di impegnarsi seriamente in un contesto non più amatoriale ma professionale e così nel 2008 è nato il Gotem Studio.

È notizia recente che Dragonero ha vinto il prestigioso Premio Micheluzzi al Comicon di Napoli come miglior serie realistica. Quali sono secondo voi le ragioni del successo che la collana sta incontrando presso pubblico e critica?

FRANCESCUTTO: L'enorme passione che ci han messo dentro Luca Enoch e Stefano Vietti, che sono gli ideatori di questo mondo: loro non scrivono Dragonero, loro lo vivono, non si limitano a scrivere storie, ma creano un mondo, con tutto quello che ci sta dentro.
Le trame non sono semplici, non ci si trova davanti a qualcosa di lineare; già dall'inizio sono stati messi qua e là dei semi che sono poi diventati parte importante del racconto.
Gli appassionati lettori poi possono essere molto meticolosi, se qualcosa non va come dovrebbe questi se ne rendono conto, tutto deve incastrarsi sempre nel migliore dei modi.
Il fantasy ha degli elementi che vanno rispettati, e loro hanno creato un intero mondo facendo questo, ma lo stesso sono riusciti a metterci qualcosa che non c'era prima, un’alternativa a mondi già preesistenti. Credo poi abbiamo avuto il grande merito di mettere su una scuderia di autori molto professionali e capaci.
Da qualche tempo dirigo la sezione colori della serie, e posso garantire che continuare a fare il colorista sulle mie testate e allo stesso tempo dirigere un gruppo che può arrivare a contare una dozzina di collaboratori può essere alquanto duro a volte. Se penso che loro invece ne gestiscono almeno quattro volte tanto e allo stesso tempo scrivono e lavorano su altre cose esterne, a volte dubito della loro natura umana... Saranno forse Luresindi?
Il fatto si sia poi tutti al lavoro per la Bonelli è anche garanzia di professionalità in altri rami della produzione. Luca Barbieri è l'editor della serie, Marina Sanfelice è un punto di riferimento anche dal lato tecnico, ed entrambi hanno una grande esperienza nel settore. Se poi si fanno i nomi di tutti i disegnatori della serie che hanno anche visivamente creato questo mondo non si finirebbe più. Qui pare stia solo elogiando quelli che ci lavorano, ma per me è sempre stimolante avere dei colleghi di alto livello, mette anche la voglia di fare sempre meglio.
Quindi, come detto all'inizio, la passione che uno mette nel proprio lavoro è inevitabilmente trasmessa anche a chi si gode il risultato finale.

MALISAN: E’ fatta bene. I creatori si sono impegnati e soprattutto divertiti nel costruire un universo dettagliato e regolato perfettamente. Penso che sia una delle cose più apprezzate dagli amanti del genere fantasy. Enoch e Vietti, i due scrittori dietro Dragonero, hanno un bagaglio enorme di competenze che permette loro di curare al meglio tutti gli aspetti della serie, non limitandosi alla scrittura, ma gestendo in prima persona e quindi con competenza e stile anche molti altri aspetti che in contesti differenti avrebbero difficilmente trovato persone altrettanto coinvolte. Serviva poi la competenza e affidabilità di un grande editore di fumetto popolare come Bonelli che investisse a lungo termine nella concretizzazione di tale mondo complesso. C’è inoltre un mix secondo me ottimale di tradizione e innovazione, contemporaneamente rassicurante e stimolante. Tutti questi aspetti ben riusciti creano un vero e proprio volano positivo: tutti noi ci sentiamo parte di un gruppo affiatato, deciso a dare il meglio e ad alzare continuamente il livello. Sono spesso sopraffatto nell’osservare la qualità delle pagine dei miei colleghi, si tratta di uno stimolo continuo all’impegno. E questo i lettori lo vedono.

Disegnare e colorare Dragonero: quali sono, se ci sono, le specificità professionali che vi richiede questa collana o le richieste particolari degli autori?

FRANCESCUTTO: A me come colorista viene lasciato molta libertà di azione a dire il vero. Capita sì che mi vengano date delle direttive, ma più legate al colore specifico di capelli di questo o quel personaggio per esempio, ma altre come le atmosfere sono scelte prevalentemente mie.
Personalmente sono dell'idea che il colore debba essere una cosa che accompagna il disegno, che lo valorizzi, anche se spesso mi lascio prendere la mano. Mi piace pensare che, tra una ventina di anni, qualcuno possa aprire un albo nel quale ci ho lavorato, e non sentire quella sensazione di vedere qualcosa legato ad un determinato periodo. Ci sono fumetti che risentono molto della moda del periodo in cui sono stati fatti, io non voglio che ciò accada per Dragonero, cerco sempre di fare in modo che siano apprezzabili sempre, senza sentirsi fuori tempo. E anche per questo che cerco sempre di adoperare tinte naturali, mai forzate.
Lo stile poi cambia da disegnatore a disegnatore, ogni albo per me è un lavoro differente, perché ogni autore necessita di differenti colori su di lui. Questo poi è uno degli aspetti che più amo del mio lavoro, mai uguale a se stesso.

MALISAN: Si tratta di disegni impegnativi, perché le ambientazioni sono sempre molto diverse, cambiano anche ogni poche pagine e tutte richiedono studio e attenzione. Il materiale di riferimento è moltissimo, ma non può essere esaustivo perché si tratta di mondi di fantasia e quindi è necessario sempre aggiungere qualcosa in più anche alla documentazione più dettagliata. Personaggi, veicoli, armi e oggetti sono tantissimi e diversissimi, e questo richiede ulteriori competenze e studi. C’è inoltre il coordinamento con altri disegnatori e la necessità di disegnare seguendo studi effettuati da altri; raramente i punti di forza di diversi disegnatori coincidono, perciò a volte ci si deve impegnare anche con cose che “non ci vengono bene”. Aggiungiamo che ho la massima libertà di messa in pagina e di ricerca di soluzioni grafiche personali, e questo è un piacere che porta con sé ulteriori sforzi di immaginazione (e grandi soddisfazioni!).

Nessun commento:

Posta un commento